Riflessioni sulla decadenza della lingua italiana, che voi incoraggiate.
Uscitemi il vaso sennò a me mi si appassisce il fiore e perde la petalosità.
Buongiorno,
sono un’ amante della lingua italiana e come tale avrei alcune domande da porVi visto il modo in cui state trattando la suddetta.
Dopo l’approvazione del termine “petaloso” ho capito che con voi lingua italiana, con l’arrivo del nuovo millennio, sta letteralmente naufragando nelle più profondi vortici dell’ignoranza.
Ieri, dopo aver letto le testate nazionali più famose, ho capito quanto Voi abbiate toccato il fondo.
In particolare modo mi riferisco a Vittorio Coletti e la sua risposta in merito all’utilizzo corretto o meno di “Scendere il cane” ed “Uscire il bambino”. Se queste locazioni sono ammesse in usi regionali e popolari (non sempre più estesi )Vi vorrei ricordare che la lingua italiana è una e nazionale!!!
Voi a maggior ragione dovreste riportare l’italiano al livello culturale che ogni lingua merita, non farlo diventare un patois di orrori lessicali e grammaticali espressi da chiunque Vi scriva.
Altrimenti date la Vostra benedizione anche ad un termine ampiamente utilizzato nel parlato e rendetelo lecito anche nella lingua scritta e nei documenti ufficiali: “coso”.
Rimando sempre più allibita, cordialmente.
Oggi, ricordiamo le vittime della Shoah, eppure, nonostante siano passati 74 anni, bisogna lavorare ancora molto per eliminare l’accanimento contro il diverso. Nei tempi recenti la giornata della memoria ha mutato il significato, è diventata quasi un appuntamento fisso, come tanti altri momenti durante l’anno: film, deposizione delle corone da parte delle alte cariche dello stato, immagini del profilo, frasi…
Eppure tutto ciò non avrebbe nemmeno più senso di esistere.
Leggendo la cronaca più o meno recente sembra quasi una presa in giro, noi non abbiamo LA memoria e nulla abbiamo imparato dal passato ed ora come non mai la teoria di Nietzsche dell’ “eterno ritorno” è vera.
In questi minuti, momenti, mentre scrivo, in tante parti del mondo altrettante comunità stanno vivendo la loro Shoah ed il loro sterminio è ben lontano dalla fine: i tibetani, la minoranza musulmana dei Rohingya , le bambine e le donne delle comunità più patriarcali, i desaparecidos, tutti i paesi infestati dalle guerre civili, gli omosessuali in alcuni stati, gli ebrei stessi che purtroppo hanno ancora a che fare con dei cretini (Gli ultimi in particolare con la maglietta di Aushwitzland).
Ma in particolare vorrei raccontarvi di due stati dove i loro luoghi di detenzione non hanno nulla da invidiare a quelli di concentramento, di sterminio. In merito a quanto scritto ritengo più opportuno lasciarvi delle testimonianze.
Le prime,provenienti da ex detenuti delle prigioni di Assad in Siria (mentre leggete, tutto questo continua ad accadere).
Esposizione atroce di un’ ex infermiera: “In Siria sono state usate armi di ogni tipo. Non solo barrel bombs o bombe chimiche, ma anche un’arma vecchia quanto il mondo, lo stupro”[…] Rasha viene arrestata e per lei iniziano anni di inferno. “Prima ancora che potessi capire perché ero stata arrestata, hanno iniziato a malmenarmi. In cella sono stata diversi giorni nuda, senza mangiare e l’acqua che mi davano era pochissima. Non ricordo quanti giorni sono stata in isolamento. Era completamente buio. C’era un silenzio surreale, a volte credevo di essere morta. Non immaginavo che l’isolamento potesse essere il male minore. La cella era piccolissima e noi eravamo almeno otto donne. Non c’erano brandine, non c’era spazio per allungare tutte insieme le gambe. Il bagno era costituito da un buco sul pavimento e un tubo quasi sempre senza acqua che doveva servire per lavarci. Il cibo era pochissimo e dovevamo dividercelo. […] A turno ci facevano uscire. Le opzioni erano tre: la scarcerazione, l’esecuzione o la tortura. Quando sei una donna, la tortura preferita dai militari è la violenza sessuale. In cella con noi c’era una ragazza di sedici anni. Lei era quella che veniva fatta uscire più spesso. Non dimenticherò mai le sue urla ogni volta, il modo in cui si aggrappava a noi implorando di non lasciarla. […]Un giorno, dopo l’ennesimo stupro, ha iniziato a sbattere la testa sul muro. Una, due, tre volte. La ragazzina si era chiusa in un mutismo assoluto, urlava solo ogni volta che venivano a prenderla, finché una sera, dopo l’ennesima violenza, è entrata in cella ridendo. Era una risata isterica. Ha gridato ‘ora sono un generale, un generale dell’esercito siriano’ poi ha iniziato a sbattere la testa sul muro, con talmente tanta violenza da uccidersi.[…] I soldati fanno un macabro gioco. Più è alto il numero di coloro che abusano contemporaneamente di una vittima, più questa sale di grado. Essere generale significava il massimo dell’orrore.”
Omar, un detenuto dello stesso regime: “ Quando sono arrivato a Saydnaya sono stato accolto dalla hafla, la festa di benvenuto riservata ai nuovi prigionieri che consiste in un pestaggio terribile. Sono stato costretto a spogliarmi completamente mentre alcuni soldati mi guardavano. Hanno aperto su di me un forte getto d’acqua e mi hanno detto che a quel punto ero pronto per incontrare i maestri. Ero terrorizzato”. Omar viene trascinato per spazi bui, maleodoranti, stretti. “Ho sentito gridare. Erano voci maschili. Non ho mai sentito urla così. Sono stato buttato in una stanza dove ho visto alcuni uomini sodomizzare col loro corpo o con bastoni i detenuti, in carcere sei un numero, dal giorno in cui entri, al giorno in cui esci”
Quanta crudeltà ancora oggi? Non possiamo nemmeno paragonarci alla peggiore delle bestie, perché nemmeno essa giungerebbe a tanto.
Spostiamoci in Libia, in quello che succede prima che molti migranti giungano da noi. Non vi sto a raccontare in dettaglio i loro viaggi che durano in media uno/due anni, ma riporto, come sopra, una deposizione diretta di chi è stato ammassato come un oggetto insieme ad altri in celle anguste (vi ricorda qualcosa?) e dove le donne, come in tutte le guerre, vengono stuprate (non scendono dal barcone incinte per opera dello Spirito Santo). “In Libia odiano le persone di colore. Ci trattano come schiavi e animali. Veniamo arrestati senza motivo e, una volta che veniamo incarcerati, o usciamo dopo aver pagato molti soldi o moriamo lentamente” “La maggior parte di queste persone vengono imprigionate arbitrariamente, senza mai essere sottoposte a un regolare processo” per immigrazione illegale. Vengono incarcerate in Libia, in centri dove subiscono “trattamenti inumani, Stupri, omicidi e torture in diretta telefonica a scopo di estorsione sono la normalità nei centri di detenzione per migranti in Libia, che tanto somigliano a quei campi di concentramento”
Moltiplichiamo tutti i racconti, tutte queste atrocità per un grandissimo numero di cuori che battono, in ogni parte del mondo, e nemmeno così riusciamo minimamente ad immaginare quante persone ancora soffrono. Moltiplichiamo il numero, perché la Shoah la stiamo continuando a vivere, più immensa e distruttiva di prima.
Ecco perché questa giornata non ha senso: il ricordo deve basarsi su un momento che non esiste più. Eppure in certe parti del mondo tutto questo è la normalità, e fino a quando le cose non cambieranno, ogni giorno dovrebbe essere instaurata la giornata all'eliminazione di quell' "ISMO" che lascia sempre di più il segno, perché SE QUESTO È UN UOMO, preferisco non esista più.
E allora tutti insieme alziamoci e nel nostro piccolo cerchiamo di cambiare questo presente di merda e pieno di odio, affinché questa giornata un domani abbia davvero senso.
Angela De Luca.
Testimonianze sulle carceri siriane tratte dal sito www.tpi.it,di Asmae Dachan
Testimonianza sulla detenzione in Libia Tratto dal sito www.ilfattoquotidiano.it di Gianni Rosini
Tutti i diritti delle immagini sono dei rispettivi proprietari.
Julen, un nome che in questi giorni abbiamo purtroppo imparato a
conoscere e collocare a 70 metri sotto terra. Un nome che dal 13 gennaio ci sta
tenendo tutti uniti: fedeli, scettici, razionali, sentimentali, atei… Un
miscuglio di personalità che sperano tutte in un lieto fine, come nelle favole.
Lui, seppur coperto dalla nuda terra, fa sentire ad ognuno di noi, una
fiammella nel cuore, un fervore che, con il passare delle ore, si affievolisce ma
non si spegne: la speranza!
Stiamo andando contro ogni forma di razionalità, cercando anche il
più piccolo bagliore di una minima e misera possibilità che egli sia ancora vivo,
un escamotage su teorie un po' campate in aria; tutto ci va bene, purchè rimanga
anche la minima eventualità. Inevitabilmente a molti, vivi e abbastanza
grandicelli nel 1981, sarà venuto in mente l'altra tragedia che già sconvolse l’Italia:
l’incidente di Vermicino ed il piccolo Alfredino Rampi.
Ma non sono qui per ripetere
ciò che alcuni giornalisti hanno già ricordato, bensì per invitare ad una
riflessione.
Siamo nell’anno 2019. Nel 1859
Charles Darwin pubblica la sua teoria sull’evoluzione della specie e se quest’ultima,
come accertato, è vera, oggi ci troveremo ad aver compiuto, anche grazie alle
tecnologie, un grosso balzo rspetto ai nostri antenati primati ! Niente di più
sbagliato!!
Dall’ evoluzione dei MASS MEDIA stiamo ogni giorno convivendo con il
loro più acerbo figlio, il vuoyerismo tecnologico, masochista e macabro nella
sua forma più cruda. Così come per Alfredino (prima volta nella storia ) anche
per Julen, dalla Spagna, nel momento degli scavi, della veglia, telecamere
puntate, dirette su dirette, sempre e comunque… e quando le telecamere non sono
attive ci pensano i giornalisti a scavare nella vita delle vittime (il fratellone spirato troppo presto, il possibile
incidente dovuto al padre ed allo zio che usavano il pozzo come nascondiglio di
droga e l’avevano lasciato momentaneamente incustodito), per poi rendere pubbliche
le loro tragedie, a rivangare e riaprire, lacerando vecchie ferite, in persone
che in quel momento si trovano indifese, volubili e vulnerabili come non mai.
Perchè nel 2019, bisogna rendere tutto COSÌ pubblico.
Ma dov’è finita la nostra umanità?
Si è forse persa tra i giri di soldi che hanno tolto ogni
moralità?
Ogni limite?
Angela De Luca.
E Lui guardava il Figlio Suo
In diretta lo mandò
A Woytila e alla P2
A tutti lo mostrò
A Forlani e alla Dc
A Pertini e Platini
A chi mai dentro di sé il vuoto misurò.
A Resia c'è crisi, di valori e di rispetto da parte di chi, come Lei don Alberto, si permette, dall'alto del suo pulpito di puntare il dito ed accusare pubblicamente delle ragazze, delle donne.
Caro don Alberto, durante il seminario non le è stata forse raccontata la parabola di Gesù che disse "Chi è senza peccato scagli la prima pietra"? In difesa di un'adultera (non mostrava le cosce, ma altro). Non è stato forse il Suo, nostro, Maestro ad insegnare il rispetto anche per le donne? E quindi, Le chiedo, è più grave venire a messa, nel 2019, vestite decorosamente, ma con, a suo dire, le cosce sinuose e suadenti (quanto le ha guardate?), oppure è più grave accusare delle ragazze di voler provocare un sacerdote (chi ha il sospetto ha il difetto) che ha fatto voto di castità?
Non è forse peggiore che un ministro di Dio qualunque, giustifichi tra le righe femminicidi, stupri e violenze contro le donne?
Le assicuro che anche Gesù si vergognerebbe di certi "rappresentanti", di certi "sepolcri imbiancati". Angela De Luca
(foto di copertina tratta dalla pagina Facebook di telefriuli)