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domenica 27 gennaio 2019

Ricordare perché questo non accada più” (legge dello Stato n.211 del 20 luglio 2000)



#sonolavoce

disegno descrizione campi di concentramento
disegno descrizione prigioni di Assad


 Oggi, ricordiamo le vittime della Shoah, eppure, nonostante siano passati 74 anni, bisogna lavorare ancora molto per eliminare l’accanimento contro il diverso. Nei tempi recenti la giornata della memoria ha mutato il significato, è diventata quasi un appuntamento fisso, come tanti altri momenti durante l’anno: film, deposizione delle corone da parte delle alte cariche dello stato, immagini del profilo, frasi…
Eppure tutto ciò non avrebbe nemmeno più senso di esistere.
Leggendo la cronaca più o meno recente sembra quasi una presa in giro, noi non abbiamo LA memoria e nulla abbiamo imparato dal passato ed ora come non mai la teoria di Nietzsche dell’ “eterno ritorno” è vera.

In questi minuti, momenti, mentre scrivo, in tante parti del mondo altrettante comunità stanno vivendo la loro Shoah ed il loro sterminio è ben lontano dalla fine: i tibetani, la minoranza musulmana dei Rohingya , le bambine e le donne delle comunità più patriarcali, i desaparecidos, tutti i paesi infestati dalle guerre civili, gli omosessuali in alcuni stati, gli ebrei stessi che purtroppo hanno ancora a che fare con dei cretini (Gli ultimi in particolare con la maglietta di Aushwitzland).

Ma in particolare vorrei raccontarvi di due stati dove i loro luoghi di detenzione non hanno nulla da invidiare a quelli di concentramento, di sterminio. In merito a quanto scritto ritengo più opportuno lasciarvi delle testimonianze.
Le prime,provenienti da ex detenuti delle prigioni di Assad in Siria (mentre leggete, tutto questo continua ad accadere).

Esposizione atroce di un’ ex infermiera:
“In Siria sono state usate armi di ogni tipo. Non solo barrel bombs o bombe chimiche, ma anche un’arma vecchia quanto il mondo, lo stupro”[…] Rasha viene arrestata e per lei iniziano anni di inferno. “Prima ancora che potessi capire perché ero stata arrestata, hanno iniziato a malmenarmi. In cella sono stata diversi giorni nuda, senza mangiare e l’acqua che mi davano era pochissima. Non ricordo quanti giorni sono stata in isolamento. Era completamente buio. C’era un silenzio surreale, a volte credevo di essere morta. Non immaginavo che l’isolamento potesse essere il male minore. La cella era piccolissima e noi eravamo almeno otto donne. Non c’erano brandine, non c’era spazio per allungare tutte insieme le gambe. Il bagno era costituito da un buco sul pavimento e un tubo quasi sempre senza acqua che doveva servire per lavarci. Il cibo era pochissimo e dovevamo dividercelo. […] A turno ci facevano uscire. Le opzioni erano tre: la scarcerazione, l’esecuzione o la tortura. Quando sei una donna, la tortura preferita dai militari è la violenza sessuale. In cella con noi c’era una ragazza di sedici anni. Lei era quella che veniva fatta uscire più spesso. Non dimenticherò mai le sue urla ogni volta, il modo in cui si aggrappava a noi implorando di non lasciarla. […]Un giorno, dopo l’ennesimo stupro, ha iniziato a sbattere la testa sul muro. Una, due, tre volte. La ragazzina si era chiusa in un mutismo assoluto, urlava solo ogni volta che venivano a prenderla, finché una sera, dopo l’ennesima violenza, è entrata in cella ridendo. Era una risata isterica. Ha gridato ‘ora sono un generale, un generale dell’esercito siriano’ poi ha iniziato a sbattere la testa sul muro, con talmente tanta violenza da uccidersi.[…] I soldati fanno un macabro gioco. Più è alto il numero di coloro che abusano contemporaneamente di una vittima, più questa sale di grado. Essere generale significava il massimo dell’orrore.”

Omar, un detenuto dello stesso regime:
“ Quando sono arrivato a Saydnaya sono stato accolto dalla hafla, la festa di benvenuto riservata ai nuovi prigionieri che consiste in un pestaggio terribile. Sono stato costretto a spogliarmi completamente mentre alcuni soldati mi guardavano. Hanno aperto su di me un forte getto d’acqua e mi hanno detto che a quel punto ero pronto per incontrare i maestri. Ero terrorizzato”. Omar viene trascinato per spazi bui, maleodoranti, stretti. “Ho sentito gridare. Erano voci maschili. Non ho mai sentito urla così. Sono stato buttato in una stanza dove ho visto alcuni uomini sodomizzare col loro corpo o con bastoni i detenuti, in carcere sei un numero, dal giorno in cui entri, al giorno in cui esci”                                                                                                                                                                      
Quanta crudeltà ancora oggi? Non possiamo nemmeno paragonarci alla peggiore delle bestie, perché nemmeno essa giungerebbe a tanto.
Spostiamoci in Libia, in quello che succede prima che molti migranti giungano da noi. Non vi sto a raccontare in dettaglio i loro viaggi che durano in media uno/due anni, ma riporto, come sopra, una deposizione diretta di chi è stato ammassato come un oggetto insieme ad altri in celle anguste (vi ricorda qualcosa?) e dove le donne, come in tutte le guerre, vengono stuprate (non scendono dal barcone incinte per opera dello Spirito Santo).
“In Libia odiano le persone di colore. Ci trattano come schiavi e animali. Veniamo arrestati senza motivo e, una volta che veniamo incarcerati, o usciamo dopo aver pagato molti soldi o moriamo lentamente” “La maggior parte di queste persone vengono imprigionate arbitrariamente, senza mai essere sottoposte a un regolare processo” per immigrazione illegale. Vengono incarcerate in Libia, in centri dove subiscono “trattamenti inumani, Stupri, omicidi e torture in diretta telefonica a scopo di estorsione sono la normalità nei centri di detenzione per migranti in Libia, che tanto somigliano a quei campi di concentramento”

Moltiplichiamo tutti i racconti, tutte queste atrocità per un grandissimo numero di cuori che battono, in ogni parte del mondo, e nemmeno così riusciamo minimamente ad immaginare quante persone ancora soffrono. Moltiplichiamo il numero, perché la Shoah la stiamo continuando a vivere, più immensa e distruttiva di prima.

Ecco perché questa giornata non ha senso: il ricordo deve basarsi su un momento che non esiste più. Eppure in certe parti del mondo tutto questo è la normalità, e fino a quando le cose non cambieranno, ogni giorno dovrebbe essere instaurata la giornata all'eliminazione di quell' "ISMO" che  lascia sempre di più il segno, perché SE QUESTO È UN UOMO, preferisco non esista più.

E allora tutti insieme alziamoci e nel nostro piccolo cerchiamo di cambiare questo presente di merda e pieno di odio, affinché questa giornata un domani abbia davvero senso.






Angela De Luca.



Testimonianze sulle carceri siriane tratte dal sito www.tpi.it,di Asmae Dachan

Testimonianza sulla detenzione in Libia Tratto dal sito www.ilfattoquotidiano.it di Gianni Rosini
Tutti i diritti delle immagini sono dei rispettivi proprietari.









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